8 marzo – Donne in campo: sfide e sogni nelle storie di Monica e Silvia

8 marzo – Donne in campo: sfide e sogni nelle storie di Monica e Silvia

Questo 8 marzo non posteremo fiori e non faremo una festa speciale. Perché nel nostro piccolo proviamo a fare sì che l’8 marzo sia tutti i giorni. Questa quotidianità ce la raccontano Monica e Silvia, due donne che lavorano con noi, che lavorano insieme a noi. E lo fanno, ordinariamente, in modo straordinario.

Monica è presidente delle Cooperativa Sociale Agricola MooBaa di Fara Olivana, nonché collega dell’équipe educativa nella comunità terapeutica di Reinserimento, qui in Gasparina. Silvia è titolare della azienda agricola OrtiPorti di Romano di Lombardia e collabora con la cooperativa in qualità di consulente agronoma. Ciascuna di loro porta un pezzo del proprio essere donna in un mondo, quello dell’imprenditoria in ambito agricolo e rurale, fortemente caratterizzato al maschile. E poi entrambe portano l’idea che, oltre la competizione del mercato, condividere saperi e tecniche è un modo per crescere insieme e meglio. Anche questo, per noi, è Seminare Valore, Coltivare Comunità.

 

Monica L., cooperativa sociale agricola MooBaa

La tradizione vuole che sia l’uomo a lavorare la terra, ma fortunatamente questo stereotipo è smentito, negli ultimi anni, dai dati: sempre di più le donne si affacciano a questa realtà. La mia esperienza nasce da una passione lontana legata alla terra, alle erbe officinali e alle loro proprietà: la passione per la vita all’aria aperta mi ha portata a scegliere di coniugare le sfide del mercato con il rispetto dell’ambiente e la tutela dell

a qualità della vita e l’attenzione al sociale.

L’impegno principale e che possiamo dire essere “donna” è quello di tramandare le culture alle nuove generazioni, insegnare un lavoro che può dare ancora molte soddisfazioni soprattutto con la diffusione del biologico e di un’attenzione sempre più crescente verso i temi della sostenibilità. La donna nell’agricoltura ha il compito di trasmetterne i valori ed offrire spazi a quelle categorie che sono portatrici di fragilità e che possono trovare nella terra un luogo di riscatto. Credo che essere donna e imprenditrice nel mondo dell’agricoltura voglia dire innovazione, intuizione, intelligenza.

 

Silvia M., azienda agricola OrtiPorti – coltiviamo la terra per salpare liberi

 

Mi presento. Sono Silvia, la titolare di una piccola azienda agricola (ORTIPORTI S.S.) che produce ortaggi bio di stagione a Romano di Lombardia, alle porte del Parco del Serio, e dal 2020 collaboro con la Cooperativa Gasparina Di Sopra come responsabile e consulente del settore agricolo. “Perché fai questo lavoro?” Mi viene rivolta spessissimo questa domanda e, a volte, l’interrogativo nascosto che si ha quasi timore ad esplicitare è “Perché una ragazza dovrebbe decidere di fare un lavoro così?”. La verità è che la risposta è molto semplice e, forse, non necessita neanche troppo di spiegazioni: “Perché mi piace!”.

 

Sento di appartenere a quella categoria di privilegiati che ama il proprio lavoro e considero tutto ciò un dono prezioso, qualcosa di cui è bene prendersi cura, così come ci si prende cura di una piantina che deve crescere. Quando rispondo “Perché mi piace!” subito dopo arriva la seconda domanda: “Ma non è troppo faticoso? Per una donna poi!”. Sì, è faticoso. Essere agricoltori è sicuramente dura! Si lavora nel freddo gelido dell’inverno come sotto il sole torrido dell’estate, le stagioni si susseguono e quotidianamente lasciano i loro segni: la nebbia, la neve, la pioggia, il vento, il caldo ecc. Ogni anno ciclicamente si combatte e si ringrazia allo stesso tempo il clima, consapevoli del fatto che in fondo il nostro lavoro è anche un po’ nelle sue mani.

 

Essere agricoltori è faticoso perché è un lavoro di corpo, un corpo che viene sforzato ed è sempre proteso verso la terra (“La terra è bassa” dicevano i nostri nonni!), un corpo che deve sollevare il peso dei buoni raccolti, condurre mezzi che ci aiutano a svolgere al meglio il lavoro (e ogni tanto penso che proprio gli stessi nonni che parlavano di “terra bassa” neanche li avevano, chissà poi come facevano!), un corpo che si mescola alla terra stessa su cui lavora perché a fine giornata è la protagonista sui nostri abiti. Ecco perché mi sento di dire che l’agricoltura non è un mestiere, è una forma dell’essere … non si fanno gli agricoltori, ma si è agricoltori! Oppure lo si diventa… Coltivare la terra porta con sé dei grandi insegnamenti per il nostro spirito: aiuta ad essere tenaci, a non arrendersi, a provare delle strade consapevoli che si può anche sbagliare o che il temporale spazzerà via tutto, aiuta ad avere pazienza, calma, cura di ciò che si fa e infine orgoglio per i risultati ottenuti, perché ogni anno i primi raccolti regalano gioia.

 

Non credo che essere agricoltori sia una prerogativa di genere, o meglio di un genere! Si accompagna prima di tutto ad una forza d’animo che può essere maschile o femminile senza distinzione alcuna perché se “la terra è bassa”, lo è per tutti e ognuno a modo suo decide come avvicinarsi a lei. Certamente un braccio maschile è più forte di un braccio femminile, su questo non c’è dubbio; credo anche però sia il tipo di motivazione che lo spingerà ad agire e dunque non è detto che un braccio femminile sia più debole. Scaturisce da qui un altro mio personale pensiero: l’agricoltura è collaborazione! Dove non arrivo io, arriverai tu … dove non riesco a sollevare un peso io, mi verrai in aiuto tu e dunque dove io braccio femminile non posso arrivare ci sarai tu braccio maschile ad aiutarmi e viceversa. Non credo sia una questione di genere ma di lavoro in sintonia piuttosto!

Solo ora che mi sono fermata un attimo a raccogliere idee e pensieri mi rendo conto di quanto ogni singola esperienza mi abbia dato qualcosa e mi abbia condotto fin qui a poter esprimere le mie riflessioni. Penso innanzitutto al nome della mia azienda agricola, ORTIPORTI. Quando ho scelto questo nome avevo una precisa idea in testa o, più esattamente, un sogno forse, che fornisce ad ORTIPORTI due significati.

 

Il primo è prettamente pratico ed è legato al tipo di lavoro: come ho accennato all’inizio, produco ortaggi bio di stagione e consegno cassette miste di verdura a domicilio; le cassette vengono da me composte (a seconda anche delle preferenze) e consegnate direttamente nelle cucine dei clienti, dunque si può dire tranquillamente “dal campo alla tavola” o, come suggerisce il gioco di parole scelto, “porto gli orti dove non ci sono”, quindi ORTIPORTI.

 

Il secondo significato del nome voleva essere una riflessione più profonda che comunicasse a tutti quanto fare agricoltura fosse un punto di partenza per salpare verso un modo d’essere, uno stile di vita intrinsecamente legato a quanto sopra espresso, una quotidianità più scandita dal sole che dall’orologio, dalla natura piuttosto che dal computer, dalla relazione piuttosto che dai social network. Volevo evidenziare quanto fare agricoltura possa essere un porto dove attraccare nei momenti di tempesta e al contempo un porto da cui salpare più forti e liberi di essere semplicemente se stessi. “Approdare” nella realtà di Gasparina mi ha permesso di dare un volto a tutto questo, di vedere concretamente tutto ciò che era un sogno in un nome, di poterlo condividere e vederlo crescere!

 

Nel mio percorso ci sono state sicuramente delle difficoltà, degli ostacoli o degli intoppi. Non mi sento però di dire che sono dovuti al fatto di fare impresa al femminile, quanto più sono legati al dover gestire la stragrande maggioranza del lavoro da sola, partendo invece da un’idea di agricoltura che porta relazione. Ecco, questo a tutt’oggi è forse la parte veramente faticosa del mio quotidiano, dover coltivare e vendere allo stesso tempo, dover sollevare pesi che richiederebbero due braccia, dover essere sempre in forze perché altrimenti non si procede. Il fare impresa al femminile è stata invece una grande opportunità fin dall’inizio! Mi ha permesso di incontrare ragazze che come me avevano la passione per l’agricoltura, che come me avevano voglia e bisogno di mettersi in gioco in un ambiente considerato spesso prettamente maschile. Una volta ho dovuto fare una fotografia mentre adoperava un decespugliatore ad una giovanissima perita agraria che era venuta a visitare la mia azienda…mi disse: “È per dare una prova ai miei amici maschi che non ci credono!”. Siamo scoppiate a ridere! Ci tengo anche a ricordare, visto che si parla di braccia al femminile, che una delle prime donne con cui ho potuto condividere un pezzetto di Ortiporti è proprio stata una ragazza in percorso presso la Gasparina, a Casa Aurora. Conservo dei bellissimi ricordi! E quest’anno si sta per ripetere un’esperienza simile, ne sono molto felice!

 

Concludo lasciandovi la riflessione di Clarissa Pinkola Estés, parole che ben rendono l’idea di un richiamo alla natura, al selvaggio e alla libertà che porta con sé, parole che ben evidenziano a mio parere come la donna in quanto tale non sia esente da tutto questo anche se spesso veniamo educati diversamente e purtroppo a tante ragazze, per i motivi più disparati, viene ancora proibito di essere se stesse. Io sono stata fortunata, perché sono cresciuta in tutt’altro tipo di mentalità, ma purtroppo non è per tutte così. “Siamo pervase dalla nostalgia per l’antica natura selvaggia. Pochi sono gli antidoti autorizzati a questo struggimento. Ci hanno insegnato a vergognarci di un simile desiderio. Ci siamo lasciate crescere i capelli e li abbiamo usati per nascondere i sentimenti. Ma l’ombra della donna Selvaggia ancora si appiatta dietro di noi, nei nostri giorni, nelle nostre notti. Ovunque e sempre, l’ombra che ci trotterella dietro va indubbiamente a quattro zampe.