Ha chiuso il CAS di Romano: breve viaggio in una storia di accoglienza

Ha chiuso il CAS di Romano: breve viaggio in una storia di accoglienza

La storia del CAS

Marzo 2016 – maggio 2019: dopo tre anni di attività ha chiuso il CAS (Centro di Accoglienza Straordinaria) di Romano. Non c’ero il giorno dell’apertura, e non sarò presente il giorno in cui l’ex hotel La Rocca aggiungerà un nuovo ex alla sua lista di vite precedenti. Forse è meglio così, poiché inizio e fine sono quei momenti di estremità temporale che facilmente si tramutano in estremismi emotivi di varia natura e generano sguardi poco lucidi sugli eventi.

In compenso ci sono stata nel mezzo, per buona parte. E allora posso parlarvi di quello che ho vissuto e di chi ho incontrato lavorando nel CAS a Romano di Lombardia.

Le storie di chi ha vissuto al CAS

Posso raccontarvi degli ospiti che per periodi più o meno lunghi hanno vissuto tra quelle mura. Ivoriani, maliani, nigeriani, chi dalla Guinea Conakry, dal Camerun o dal Senegal, e ancora gambiani, ghaniani, bengalesi e pakistani. Provenienze e storie diverse, diverse le età e le personalità; diversi tra loro per gusto estetico, preferenze musicali, tifo sportivo e fede religiosa; diversi per attitudini ed esperienze lavorative, o ancora per orientamento sessuale, opinione politica, ambizione individuale e capacità creativa. Voglio dire che se spesso nell’immaginario collettivo i richiedenti asilo dell’ex hotel La Rocca arrivavano indistintamente da un unico pianeta lontano, omologati rispetto ad alcune, poche, caratteristiche base, per me erano Alex, o Mohammed, o Jiton e Richard, e Stephen, e Mamadou, e c’erano Festus e Jakir, e Jubayer con Bright, e tanti altri ancora.

Ma conoscere singolarmente gli ospiti del CAS ha fatto emergere anche alcuni tratti comuni. Rispetto a ciò è fondamentale capire e riconoscere che questi uomini e queste donne sono, esattamente come noi, figli di dinamiche estremamente contemporanee. Quelle di un mondo che sta attraversando un cambiamento epocale, dove le informazioni sono tanto accessibili quanto manipolabili, un mondo segnato da un graduale accentramento dei processi decisionali, da crescenti diseguaglianze ed iniqua distribuzione delle risorse, da un equilibrio ambientale e climatico sempre più compromesso e con inevitabili conseguenze politiche, economiche e sociali.

Serve un approccio equilibrato

Se non comprendiamo questo non riusciremo a superare le argomentazioni, diverse tra loro ma ugualmente distorte, che accompagnano il tema migranti. Si va dalle voci più forti, da riflettori, quelle del chiudiamo i porti, a quelle che utilizziamo per auto assolverci dell’aiutiamoli a casa loro, fino alla logica pietistica del poverino. Ciascuna di queste posizioni è viziata, incompleta, e produrrà di conseguenza linee politiche inefficaci. Se non riconosciamo l’attualità di quanto accade globalmente, e alle porte d’Europa, e lungo le nostre coste e fin dentro alle nostre singole comunità, allora non potremo comprendere che queste dinamiche coinvolgono pienamente anche noi. E non smetteranno di farlo.

Sta qui la ragione per cui smantellare il sistema dell’accoglienza non solo non è una soluzione oggi, né per gli ospiti né per gli ospitanti, ma soprattutto renderà  estremamente problematica la convivenza, domani, in un mondo mutato all’interno delle nostre stesse comunità. Lo argomenta bene Alessandro Baricco in un suo bel saggio: «ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perché ridiventasse se stesso in un tempo nuovo» (Baricco, I Barbari, saggio sulle mutazioni)

L’esperienza diretta del CAS di Romano

E poi posso raccontarvi della comunità accogliente di Romano di Lombardia, quella che ho avuto il piacere di conoscere insieme agli ospiti del CAS in numerose occasioni di incontro con singoli individui o gruppi di persone. Sono stati tanti i momenti di collaborazione con diverse realtà del territorio e i percorsi di volontariato attivati durante il triennio. Lungo il cammino sono emerse una comunità vivace, l’urgenza di conoscere e condividere, la volontà di connettere esperienze, il bisogno di unire i punti oltre i confini del nostro piccolo territorio per vederci in un disegno più ampio. Questo incontro si è nutrito di codici diversi: la musica, il gioco e lo sport, il cibo, il racconto, il cinema; è sceso in piazza e ha camminato per le strade della nostra città, ha conosciuto spazi comuni e indossato pettorine di colori vivaci, come un compagno di squadra, ha calcato le scene e frequentato le aule scolastiche, amplificandosi e lasciando un segno.

A chiunque ritrovi in queste righe un momento condiviso va il grazie della Cooperativa per aver colto l’occasione. Ma fra tutti, e siete stati tanti, vorrei fare una menzione speciale per le scuole, per gli studenti e gli insegnanti. Credo che sia stato fatto insieme a loro il lavoro più prezioso: incontri di testimonianza, percorsi di alternanza scuola-lavoro, collaborazioni a progetti più strutturati come la creazione di un libro (di cui potete ripercorrere la storia qui), esperienze in cui la cura e l’attenzione reciproca sono state messe al centro. In una scuola che riflette la società eterogenea di oggi ed è protagonista nel formare la società di domani, ognuno di questi momenti ha rappresentato un tassello in più nella costruzione di una comunità consapevole, matura, valorizzante.

Cosa ci aspetta?

A fronte di discorsi omologanti, di muri e fili spinati, ci può essere utile comprendere che il mondo che cambia ci pone sfide nuove ed esige strumenti più adeguati: flessibilità, capacità di rete, prontezza di riflessi, bagaglio leggero, mappe in continuo aggiornamento. Tutti elementi che ho ritrovato negli ospiti dell’ex CAS ex hotel La Rocca e che essi hanno condiviso sul piatto dell’incontro con la nostra comunità.

Anche se le luci del centro d’accoglienza oggi sono spente l’augurio è che questa esperienza collettiva ci abbia aiutato a trovare una maggior consapevolezza rispetto alla necessità di investire risorse e dare continuità ad un percorso che supporti noi e i nostri ragazzi davanti a sfide di cui possiamo solo intuire i contorni.