Chi trova un amico trova un tesoro … il concorso dell’amicizia in comunità Gasparina

Chi trova un amico trova un tesoro … il concorso dell’amicizia in comunità Gasparina

L’amicizia ai tempi del coronavirus ne ha viste di tutti i colori: monca di quella presenza e di quel tocco che la rendono un supporto prezioso nei momenti più significativi delle nostre vite, anche lei si è dovuta reinventare. Dapprima arretrando di un metro; poi riscoprendosi nei volti dei vicini di casa affacciati ai balconi e alle porte dei pianerottoli; non da ultimo accodandosi alla categoria dei congiunti.

E proprio mentre gli italiani si apprestavano a riabbracciare i propri famigliari, in Comunità Gasparina si svolgeva il concorso dell’amicizia. E questa coincidenza è abbastanza significativa. I compagni di percorso, gli educatori, gli psicologi, i volontari: loro in comunità sono l’iperfamiglia. La giornalista Annalisa Camilli, in questo articolo, utilizza il superlativo per indicare quella rete di relazioni che nel corso della vita ci costituiscono come individui. Ci sono persone che sono parte viva dei nostri percorsi anche senza essere fratelli o sorelle o padri o madri. Ci sono persone con cui condividiamo gioie e dolori, entusiasmi e tristezze, su e giù. Accettiamo sfide e facciamo rinunce insieme a loro. Ci sono persone con cui riusciamo a trovare la forza di intraprendere scelte che altrimenti da soli non ci sentiremmo di fare e portare avanti, perché da soli è più difficile.

Ecco perché quest’anno il concorso è stato vissuto in modo ancora più sentito: per mesi gli incontri con le famiglie e con i congiunti sono stati sospesi, mentre le notizie dei telegiornali non portavano dentro, in casa, in comunità, nulla di buono. Il concorso è stato anche un momento per dirsi: “Grazie per esserci, grazie per essere qui accanto in questo momento ancora più complicato del solito”.

L’iniziativa ha una storia qui in Gasparina. La prima edizione risale al 2000 e ogni anno dona sempre grandi emozioni, sia ai ragazzi che partecipano sia agli educatori. Gli ospiti della comunità si organizzano in piccoli gruppi di lavoro e ciascuno deve produrre un testo e un manufatto sul tema dell’amicizia. Il manufatto deve inoltre essere realizzato con materiale di recupero. È così, ad esempio, che una vecchia pallina da ping pong diventa una perla, o che un pallone sgonfio diventa un mappamondo. Rigenerazione. In tutte le edizioni non si è mai visto lo stesso elaborato due volte: concept, progetto e materiali delle opere sono sempre unici, a testimonianza di una creatività inesauribile che sorprende sempre e di un tema che ha sempre qualche nuovo volto da rivelare. 

Quando chiedo agli educatori dell’équipe di raccontarmi qualcosa di più su questo concorso si aprono finestre su un paesaggio inesplorato. Ecco le loro riflessioni.

 

Perché un concorso dell’amicizia in comunità?

(a cura di Luciano)

“Perché fare un concorso sull’amicizia in comunità?”

Parto da questa domanda e la risposta potrebbe essere semplicemente: “Perché no?“. 

Ma poi il pensiero vola e così inizio a cercare risposte non banali a una domanda che sembra banale.

Mi faccio aiutare da un vocabolario, Treccani, per chiarirmi di più le idee:

 «L’amicizia è un rapporto fatto di fiducia, simpatia, affetto e reciproca scelta, che si riscontra in ogni tempo e in ogni luogo, ma che nessuna teoria può spiegare del tutto. L’amicizia prevede che esista un rapporto paritario, e questo la distingue dagli altri legami che coinvolgono gli affetti» .

Da una prima lettura di ciò che il vocabolario Treccani dice, la parola “amicizia” si sta trasformando in un concetto, non più una semplice parola abitualmente usata.

Trovo inoltre diverse similitudini tra i temi che in comunità si vanno a trattare: fiducia, reciproca scelta, rapporto paritario, legami ed affetti.

Basterebbe questo per giustificare un concorso sull’amicizia in comunità, ma poi aumenta l’interesse su cosa nasconda in profondità questo concetto.

A questo punto vado a scomodare un filone di pensiero molto importante, la filosofia, per chiarirmi al meglio questa parola che molte volte, devo dire, mi è risultata banale e scontata:

«Aristotele incomincia la sua indagine sull’amicizia ricordando che essa «è un aspetto estremamente necessario della nostra vita, dato che nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni». Non va infatti dimenticato che l’uomo, dopotutto, è pur sempre un essere sociale. Il termine amicizia designa in generale la comunità di due o più persone legate assieme da atteggiamenti concordanti e da affetti positivi.» 

Scopro che il concetto di amicizia fu un tema importante per profonde riflessioni in ambito filosofico, ed il tema della comunità fu necessario per una sua definizione:

 «L’amicizia è poi certamente una comunità nel senso che l’amico si comporta verso l’amico come verso sé stesso. Ci sono tante specie di amicizie quante sono le comunità, cioè le parti della società civile. Il desiderio d’amicizia, e dunque di riconoscimento intersoggettivo, – puntualizza Aristotele – «è rapido a nascere, [ma] la [vera] amicizia no». Essa richiede tempo, risorse, pazienza, comprensione, ascolto e tanta volontà di impegnarsi per davvero nel perseguimento delle virtù e nella comune ricerca delle “cose belle” della vita. D’altronde, come dice Spinoza al termine della sua Etica, «tutte le cose più splendide sono tanto difficili [da ottenere], quanto rare», ma – aggiungiamo noi seguendo Aristotele – sono forse anche le uniche per cui valga veramente la pena di lottare.» 

Mi fermo qui, e vedo che la domanda iniziale “Perché fare un concorso dell’Amicizia in comunità?” acquisisce magicamente un senso importante.

A questo punto non credo che la risposta possa semplicemente essere “perché no”, ma, piuttosto, Perché non fare un concorso dell’Amicizia in comunità?” 

 

Il concorso dell’amicizia come strumento terapeutico

(a cura di Gigi)

Credo che il concorso dell’amicizia sia un’esperienza importante e particolare, per gli ospiti e per gli operatori.

La poca fiducia che gli ospiti tendono ad avere nei propri confronti, le paure e le difficoltà che immaginano di dover affrontare nella collaborazione e nel confronto con gli altri, fungono da freno alla creatività e alla libera espressione di sé. 

Il concorso dell’amicizia ci ha fatto vedere più volte che nonostante le difficoltà, i lavori e gli scritti prodotti dagli ospiti sono risultati artistici, profondi, elaborati e ricchi di emotività. 

Il potenziale di questa esperienza può essere particolarmente significativo, perché può far emergere importanti riflessioni personali ma soprattutto fa vivere momenti unici e speciali, attraverso i quali si può riaccendere la speranza, vedere nuove e migliori possibilità, tornare a credere in sé stessi.

Il concorso dell’amicizia è un’esperienza concreta che deve essere supportata nella quotidianità di tutti i giorni, per rendere credibile la possibilità di riscoprirsi attraverso gli altri, tornare a credere nelle relazioni e attraverso a queste continuare a dare un senso alla propria vita. 

 

Il concorso dell’amicizia: un’occasione per sentirsi parte di una percorso condiviso

(a cura di Simona)

Il concorso dell’amicizia, ogni anno, rappresenta un momento molto sentito in comunità.

La formazione dei gruppi di lavoro, la preparazione degli elaborati (scritti e oggetti), i momenti di insieme da ritagliare nella giornata, creano un movimento all’interno della comunità che genera collaborazione e creatività. 

I ragazzi conoscono la storia del concorso, vedono gli elaborati precedenti che hanno uno spazio di raccolta al Pic [la sala multifunzionale] e le foto che raccontano gli anni passati. Questa conoscenza crea continuità e la storia che prosegue crea un filo comune tra passato e presente: un filo che unisce ragazzi che in momenti diversi hanno vissuto qui e che vede la comunità come valore comune. 

L’esposizione dei lavori è un momento di insieme con noi operatori che partecipiamo come giuria, ma soprattutto come spettatori e fruitori di ciò che è stato prodotto e creato. Le emozioni si condividono, gli applausi confermano, lo stare insieme convalida. 

 

“…Ma non è mica un mio amico!”

(a cura di Marco)

Sarà perché anche noi educatori un poco lo siamo dentro, mah sì certo, intendo bastian contrari. Un poco perché di questo SAPERE del CONFINE, rivolto all’ALTRO troviamo mira e progetto nel nostro lavoro, proverò qui a dar spunto non già sull’amicizia quanto sopra il NON ESSERLO AMICI, alle volte, eppoi spesso, magari, per poi proprio non riuscire a dirci amici.     

Mannaggia, abolire in continuazione le proprie certezze, come dire, la mia idea -per partito preso, su quelle persone, mmh capirai, quasi a fidarmi solo dell’esperienza vissuta nel momento, lì per lì, senza alcun pregiudizio?                                          

Continuamente espormi a ciò che mi è estraneo, diverso; davvero provare a pensarmi come in accettazione, seria, dell’Altro? Mmh, prendermi il rischio e la libertà di rinunciare, sradicare la mia forma, quasi sottrarmi alla certezza della mia individualità, transito verso chi, cosa? Abitare le oscillazioni che dinnanzi andrò trovando, attento a protendere-occupare il volto dell’altro con la mia ombra -certo di quella prima o poi dovrò sapere ben che farne o continuerò “un cinema”, agìto caleidoscopico? -Il proiettore per sale Cinemeccanica riverbera … [NdA: per sei anni ho lavorato come proiezionista presso lo storico Cinema Ducale ricordo con nostalgia di aver avuto ospite Tornatore, regista].       

 

E se ri-cominciassimo, ora, come avevamo fatto tantissimo tempo fa?

 

“…ehi, giochiamo assieme?        

…E voi? Ci state?…

…Dai, poi cambiamo un poco le squadre…              

E giù, ancora, a giocare…”                

 

[11.Giugno.2020, Gasparina di Sopra. AREA in MANUTENZIONE: confini e ponti con l’ALTRO]

 

Qualche spunto bibliografico:  

  1. Abbagnano N. “Dizionario di filosofia” (2013)  
  2. Gorgia “Sul non essere o sulla natura” (V° sec. A.C.)
  3. Jung C.G. “Simboli della Trasformazione” (1912)
  4. Lévinas E. “Parola e silenzio” (1948)
  5. Minkowski E. “Il tempo vissuto” (1933)