Le conseguenze sociali del gioco d’azzardo

Le conseguenze sociali del gioco d'azzardo

Le conseguenze sociali del gioco d’azzardo

L’Italia campione di spese al tavolo da gioco

Non è dunque una razza di animali, che si compiace del suo fango; non è dunque una razza inferiore che presceglie l’orrido fra il brutto e cerca volenterosa il sudiciume; non si merita la sorte che le cose gl’impongono; saprebbe apprezzare la civiltà, visto che quella pochina elargitagli, se l’ha subito assimilata; meriterebbe di esser felice.

(Matilde Serao, Il Ventre di Napoli, 1906)  

Con queste parole Matilde Serao dipinge il ritratto della vita nei bassifondi di Napoli, con la lentezza di un’esistenza scandita dall’attesa della giocata del lotto, dalla speranza di vincere per risollevarsi dalla miseria e trovare infine la felicità. In quel lontano 1906 il gioco d’azzardo regalava la possibilità di credere in una realtà migliore, ma quando il sogno ad occhi aperti svaniva non restava altro che tornare alla propria dura esistenza.

Nel precedente articolo sostenevo che il gioco vero è bello se dura poco, se ha suo limite ed è per questo che all’epoca in cui è ambientato il romanzo “Il Ventre di Napoli”, dal quale ho estratto il brano di introduzione, il gambling, il gioco d’azzardo, aveva caratteristiche  molto diversi dalle forme attuali di gioco d’azzardo pervasivo della vita quotidiana delle persone.

Gioco d’azzardo on line: la delocalizzazione in una realtà a due dimensioni

Nel 2008 il professor Robert Ladouceur ha definito nel dettaglio le caratteristiche che definiscono il gioco d’alea, di fortuna, nel quale l’abilità intellettuale o fisica dell’individuo non svolge alcun ruolo determinante per il risultato della partita.

Perché si possa parlare di gioco d’azzardo, infatti, è necessaria la compresenza di:

  • Un giocatore che scommette denaro o un oggetto di valore
  • Una posta che, una volta messa in palio, non può più essere ritirata
  • Un gioco il cui esito è determinato unicamente dal caso

Il quadro così descritto ha trovato tradizionalmente posto nelle case da gioco, entro le mura ristrette e limitate di luoghi fisici come i casinò e gli ippodromi. Il giocatore poteva essere tale solo all’interno degli ambienti deputati al gioco ed era così mantenuta quella separatezza dalla vita quotidiana che permetteva allo scommettitore di porre fine al divertimento e riprendere il contatto con la realtà.
Il gioco d’azzardo, oggi, trova invece il suo posto ideale in rete, viene delocalizzato nel mondo virtuale, al di fuori della vita quotidiana: chiunque possieda un computer può potenzialmente prendere parte alle scommesse senza la necessità di spostarsi fisicamente da un posto all’altro.
Gli ippodromi, i casinò, le bische vengono chiusi e acquistano nuove dimensioni, passando dalla tridimensionalità del mondo reale alla bidimensionalità del web. Così l’espressione “casinò online” fa il suo ingresso nel vocabolario comune, mentre l’immagine di un luogo tangibile, reale, dedicato all’azzardo assume contorni sfumati fino a svanire dalle nostre menti.

È sufficiente sedere davanti ad uno schermo e il gioco è fatto.

Lo Stato: da autorità che contiene ad autorità che espande il gioco

Per oltre un secolo nel nostro Paese la presenza di luoghi adibiti al gioco d’azzardo ha fatto sì che ci fosse in Italia una bassa propensione al gambling. Lo Stato è riuscito a tutelare la separazione del gioco dalla vita quotidiana, mantenendo intatta la valenza simbolica di questo momento di svago per il giocatore. Ricordiamo che senza la separatezza dalla realtà di tutti i giorni, senza la possibilità di scegliere di tornare con i piedi per terra una volta concluso il divertimento, l’attività ludica smette di portare benessere a chi la pratica.

La chiusura delle case da gioco è solo uno degli indicatori di una trasformazione sociale in atto dagli anni ‘80 del secolo scorso, quando una netta inversione di tendenza ha portato l’Italia ad essere la nazione con la più alta propensione al gioco in tutta Europa.

È paradossale pensare che fino a quel momento era stata l’attitudine al risparmio a caratterizzare la cultura italiana; prima di allora, infatti, la scarsa inclinazione allo sperpero garantiva allo Stato stabilità tanto nei consumi quanto nei ricavi, e in Italia non operava ancora un forte mercato finanziario, che come il gioco d’azzardo è aleatorio, incerto. Il governo, insomma, traeva vantaggio dalla limitatezza delle pratiche di gioco, era un’autorità che conteneva le scommesse e promuoveva un modello di comportamento avverso al rischio.

Con l’avvento degli anni ‘90, però, il sistema economico del nostro Paese è entrato in una nuova fase, quella dell’alea: l’equilibrio tra l’economia reale, che è pragmatica e sicura, e quella finanziaria si è sbilanciato a favore di quest’ultima e la capacità di risparmiare tipica dell’italianità è venuta meno. Al contrario, la propensione all’azzardo è diventata parte integrante dell’assetto sociale di un’Italia economicamente instabile. L’autorità che fino al decennio precedente limitava il gambling, ora lo amplia, lo espande al di fuori della sola dimensione dello svago.

Un gioco senza vincitori

Il gioco d’azzardo chiede al giocatore impiego di denaro nella speranza di poter acquisire poi altro denaro, ma è uno uno scambio che si inserisce in una logica per la quale il risultato atteso è negativo.

L’incertezza che è propria della scommessa si esaurisce in una perdita pressoché certa.

Non è solo il gambler, il giocatore, ad uscirne sconfitto: nel contesto attuale anche lo Stato, le società concessionarie che forniscono gli apparecchi per il gioco d’azzardo e le banche, subiscono spese e trattenute sempre più ingenti che si traducono, infine, in minore guadagno.

Se si considera poi la quantità di tempo che il cosiddetto “gioco pubblico” sottrae ad altre attività umane, il costo sociale arriva a toccare i 51 miliardi e mezzo di euro all’anno; si stima che siano circa 455 milioni le ore spese nel gioco d’azzardo, che corrispondono approssimativamente a 57 milioni di ore lavorative in Italia, quasi un terzo del monte ore che gli italiani dedicano alle loro ferie annuali.
Secondo quanto riportato dal report “Il gioco d’azzardo e le conseguenze nella società italiana” predisposto dalla Consulta Nazionale Antiusura, negli ultimi quindici anni l’Italia ha iniziato a consumare il gioco d’azzardo come un vero e proprio prodotto, spendendo un euro su dieci a disposizione nell’ambito della scommessa, arrivando così a pesare ingentemente sui consumi privati delle famiglie italiane.

Tra il 1998, quando la fase dell’alea, come la abbiamo definita prima, era ancora agli albori, e il 2012 l’impiego di fondi familiari per il gambling è cresciuto di sei volte, un dato a riprova del preoccupante panorama sul quale le generazioni future, con meno risparmi a disposizione e scarse opportunità di lavoro, si affacceranno.

È una situazione problematica quella in cui versa il nostro Paese, campione d’incassi, o, per meglio dire, di spese, nel gioco d’azzardo.