Io, testimone di giustizia, nel nome di Don Puglisi.

Don Puglisi

Io, testimone di giustizia, nel nome di Don Puglisi.

Quando Don Pino Puglisi, nel 1991 arrivò nel quartiere di Brancaccio, come nuovo parroco, Giuseppe Carini, era un giovanotto ventenne, studente di Medicina, che al mattino frequentava la facoltà di Palermo e al pomeriggio giocava al pallone coi coetanei del quartiere dov’era nato e vissuto. Le amicizie provenivano dalle “famigghie” affiliate a cosa nostra. Brancaccio era il feudo di Michele Greco, il papa a capo della cupola di cosa nostra, un quartiere-ghetto ad altissima densità mafiosa. E, come tutti i ragazzi, anche Giuseppe era cresciuto col mito dell’uomo d’onore.

Giuseppe Carini incontra Don Puglisi

«Volevo diventare come il cugino di mia madre, un uomo considerato da tutti», spiega. Poi l’incontro con questo piccolo prete dalle grandi orecchie e un sorriso disarmante, che va incontro ai bambini di strada e parla di legalità. Un incontro che gli cambia la vita, per sempre.

L’assassinio di Don Puglisi

Il 15 settembre del 1993, il giorno del suo 56° compleanno, Don Puglisi viene barbaramente assassinato sotto casa sua, da due killer mandati dai fratelli Graviano, boss dinamitardi di Brancaccio. Cosa nostra non poteva più tollerare l’operato di un testardo prete-coraggio che stava strappando, uno a uno, i bambini alla manovalanza mafiosa sotto gli occhi dei picciotti, dimostrando che un’alternativa al sistema e alla cultura malavitosa era possibile.

Il processo e la testimonianza

Dopo vent’anni dalla sua uccisione, la Chiesa lo ha riconosciuto martire e il 25 maggio 2013 a Palermo si è celebrata la sua beatificazione.  Teste chiave al processo contro i Graviano, che furono condannati all’ergastolo, fu proprio lui, Giuseppe Carini. Era uno dei “ragazzi” di “3P” come amavano chiamare “Padre Pino Puglisi”, uno dei primi giovani animatori della parrocchia, che non avrebbe abbandonato il suo “parrino” neanche dopo morto. 

Dal 1995, infatti, Giuseppe è “testimone di giustizia”; è stato inserito nel programma speciale di protezione.  Da allora è un fantasma, che già all’età di 25 anni, ha dovuto rinunciare a identità, nome, terra d’origine, studi universitari e famiglia che lo ha rinnegato. In questi anni, come fosse un latitante, ha cambiato dieci volte abitazione, in otto città diverse di cinque regioni italiane. Di rado può calare la “maschera” e, tornando a parlare come Giuseppe Carini, raccontare quell’uomo giusto che lo ha portato a “conversione”. ( dal sito www.beatopadrepuglisi.it)

La serata a Romano di Lombardia

Lo incontriamo in una serata dedicata a lui, il I marzo 2019, presso la Sala della Rocca a Romano di Lombardia. Una serata voluta ed organizzata dall’Amministrazione Comunale, l’Associazione Libera e la Cooperativa Sociale Gasparina di Sopra. Alla presenza dei rappresentanti delle varie forze armate a servizio dei cittadini e della legalità (Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza), dell’Amministrazione comunale, di molti cittadini e degli ospiti della comunità, Giuseppe Carini si è raccontato.

La serata è iniziata con l’invito a non fare fotografie. Ma come? Eravamo già tutti schierati con cellulari e macchine fotografiche! Ed ecco spiegato il motivo: non era per se stesso che ce lo ha chiesto. Ma per tutelare la sua nuova identità e le persone che oggi lo conoscono con un nome che non è il suo nome, e conoscono una storia che non è la sua storia.
Vuole, per prima cosa, salvaguardare le relazioni che, chissà con quale fatica, ha costruito. Fino al prossimo trasferimento, al prossimo trasloco, al prossimo addio.

Nella serata si sono susseguite le domande, alcuni interventi, sentito e autentico quello del vicequestore di Treviglio Dr. Lino Murtas, e una narrazione su un sottofondo musicale a cura di Sergio Cortesi e Marco Beretta.

Una lettera per Giuseppe Carini

Mi sono chiesto come fermare quei momenti e comunicare quanto visto e vissuto quella sera. Mi è venuto spontaneo scrivere una lettera…

Ciao, Giuseppe, vorrei ricordare con queste righe la serata in cui sei venuto a Romano di Lombardia.
Per noi quell’incontro con te è stato un viaggio. Un breve viaggio nelle profondità e nella vita di un uomo che ad un certo punto della sua vita è stato in grado di alzare la mano, di dire “non ci sto”, di leggersi dentro e di rispettarsi. Sì: alla fine quella sera abbiamo incontrato “solo” un uomo.

Ci hai messo un po’ ad arrivare al punto. La prima mezz’ora della serata ci hai raccontato e descritto il tuo ruolo di Testimone di giustizia, della differenza con i collaboratori, delle leggi, recenti, che vi tutelano come Testimoni di Giustizia, nuova figura giuridica, del rapporto con uno Stato che non sempre è amico. Ci hai raccontato del tuo ritrovarsi con altri testimoni, del vostro riunirsi in associazione, del lavoro con la Regione Sicilia per poter essere riconosciuti e protetti… È stato un racconto che ci ha presentato le difficoltà oggettive di una vita “protetta”.

“Ho scoperto cos’era il vero onore”

E poi, repentinamente, hai iniziato a parlare di quello che hai vissuto.
Ce ne siamo accorti subito… in pochi secondi la tua voce si è incrinata e i nostri occhi inumiditi… Ci stavamo affacciando al tuo dolore, alla tua vita, ad emozioni e sentimenti forti, autentici, profondi.

Hai iniziato a parlare di Don Puglisi, di quest’uomo mite che ti ha conquistato e che, come hai detto tu, ti ha salvato la vita, perché ti ha fatto percepire in cosa consiste il vero “onore”. Hai descritto la tua infanzia, i sogni di un bambino di Brancaccio che come tanti voleva diventare un capo mafioso ed è finito per diventare un uomo. Fino a che sei arrivato agli ultimi giorni di Don Puglisi, al suo omicidio, alla denuncia degli assassini, alla tua presenza nell’autopsia giudiziaria, al funerale.

Hai aperto il tuo cuore e hai condiviso con noi le origini della tua scelta di vita e di fede: il tuo “Padre nostro: chi sono io?”, la tua vita di adesso, a testa alta anche se con un nome nuovo ed un lavoro che non era quello che volevi fare, le paure della tua compagna, ma la voglia e la necessità di incontrare gente e raccontare una storia. Ci hai fatto capire che anche se sotto scorta sei un uomo libero!

“Don Puglisi mi ha cambiato la vita”

Ci sono stati alcuni momenti che non parlavi a noi ma a te stesso. Come se fosse una confessione, più che una testimonianza. Una confessione, per una volta, non di un crimine o una colpa, ma di un amore incontrato e di una relazione che ti ha cambiato la vita. Attraverso la tua voce abbiamo percepito la forza della mitezza di Don Puglisi. Don Puglisi non ti ha “catechizzato”. Ma ti ha inchiodato alla domanda che nel profondo ognuno di noi si fa: chi sono io?

Sai, Giuseppe, molte delle parole che hai detto le conosciamo perché le usiamo tutti i giorni nel lavoro in comunità: fare la nostra parte, responsabilità, non voltarsi dall’altra parte, compromessi, essere cittadino, non aver paura, non sentirsi soli, onestà… Quando ne parliamo non abbiamo idea che nel loro significato più essenziale e profondo sono il presupposto a scelte come la tua. Sono davvero parole “pericolose”.

A fine serata ti abbiamo regalato un quadro disegnato da Christian. E’ dedicato a te ma parla a noi. Rappresenta i momenti in cui abbiamo la possibilità di scegliere su che binario dirigere la nostra vita.

Il messaggio più importante di stasera è proprio questo: è sempre possibile scegliere. E’ sempre possibile dare risposte autentiche a quel “chi sono io?”, che ti ha svegliato tanti anni fa.

Grazie Giuseppe, per aver condiviso con noi le tue luci e le tue ombre. Grazie perché ci siamo sentiti vicini a te e ti abbiamo colto come uno che con noi ha tanto in comune. Non ce lo aspettavamo.

Una sala affollata e attenta ascolta il racconto emozionato ed emozionante di Giuseppe Carini

Il quadro realizzato da Christian rappresenta i momenti in cui abbiamo la possibilità di scegliere su che binario dirigere la nostra vita.